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Unità gestante-feto come base del presente e futuro sviluppo del bambino
Winnicott afferma che, all’inizio della vita, ogni essere esiste solo in quanto parte di una relazione, e che le sue possibilità di vivere e svilupparsi dipendono totalmente dall’appagamento del bisogno primordiale di attaccamento e appartenenza ad un atro individuo (caregiver), che si prenda cura di lui e gli dia quella percezione di sicurezza ed intimità che sono basilari per lo sviluppo.
Sarà proprio in rapporto alla qualità affettiva di tale relazione primaria che dipenderà lo sviluppo sano del vero Sé.
«Il bambino da solo non esiste, né possiamo considerarlo a prescindere dalla madre, senza l’intimità e le cure costanti della figura parentale».
Il senso di Sé si forma, anche e soprattutto, nel rapporto con l’altro. L’immagine che ognuno ha di se stesso viene costruita sulla base della relazione con gli altri e, più precisamente, sulla base dell’immagine che questi altri ci rimandano di noi.
Si parla di meccanismo del rispecchiamento come automatismo psicologico fondamentale nella formazione della propria identità. Secondo Winnicott «il precursore dello specchio è la faccia della madre».
Nei primi stadi del suo sviluppo emozionale, il bambino è assolutamente dipendente dall’ambiente, non ancora riconosciuto come Non-Me.
«La parola “Io” implica un notevole sviluppo emotivo; e cioè che l’individuo si sia strutturato come unità; che l’integrazione sia ormai un dato di fatto; che il mondo esterno sia stato ripudiato e che sia diventato possibile un mondo interno».
Quindi l’infante può esistere solo come un essere totalmente dipendente dal suo ambiente, il quale è costituito fondamentalmente dalle cure materne.
Tali cure, che Winnicott riassume nel concetto di holding - ossia il sostenere fisicamente e psicologicamente il lattante, tenendo conto del fatto che egli non sa che esiste qualcos’altro oltre a Sé - giungono magicamente a soddisfare i bisogni del bambino, grazie all’identificazione con lui e ad un adattamento quasi totale della madre.
«Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che corrisponde alla capacità propria del bambino di creare».
 Riuscendo in simile intento, la madre sostiene il bisogno di onnipotenza del figlio. Ad un certo punto dello sviluppo, però, il bambino deve iniziare ad appropriarsi della sua indipendenza, separandosi gradatamente dalla madre, dopo che essa inizierà a favorire - se sufficientemente buona - tale processo di distacco non adattandosi più a soddisfare completamente i bisogni dell’infante.
Quest’ultimo si troverà perciò ad affrontare quello che Winnicott definisce stadio della dipendenza relativa.

Questo si rivela, sempre secondo l’Autore, «come uno stadio di adattamento ad un graduale de-adattamento».
L’uomo è un essere relazionale sin dalla nascita, perché non si può pensare il neonato come un individuo singolo, ma, imprescindibilmente come uno dei due membri della diade madre- bambino. Al di fuori di questa relazione il neonato non potrebbe sopravvivere; d’altra parte la madre è resa tale dal rapporto col figlio.

Per Kohut «nel momento in cui la madre vede il bambino per la prima volta ed entra in contatto con lui, ha inizio la potenzialità di un processo attraverso il quale si stabilisce il Sé di una persona».
Il punto di partenza per connettere l’esperienza soggettiva del bambino con l’altro e col mondo è il senso del Sé, ed essendo tale esperienza in continua evoluzione - visto che si forma in relazione all’Altro - è importante che l’ambiente sia favorevole e sintonico, affinché divenga una forma di organizzazione stabile anche se in continuo divenire. Inoltre, interagendo con la madre, il bambino costruisce schemi di comportamento che tenderà a riprodurre per tutta la vita, e la madre compie fin dal primo momento una serie di gesti e attività che costituiscono le fondamenta su cui il figlio svilupperà il suo essere.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 23, Numero 1, anno 2022
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