Rivista Italiana online la "Care"
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EDITORIALE




SULL’ALLATTAMENTO …

Il seno materno è la prima cosa che il neonato cerca dopo la nascita, esso rappresenta la prima tappa ambita dalla vita extrauterina, quale oggetto transazionale posto tra la vita protetta dentro e la vita fuori, dove può cominciare a contare su se stesso e sulle proprie forze nei rapporti con il mondo.

Prima il neonato viveva, come in un sonno, in uno stato di coscienza molto profondo e dilatato, anche se contemporaneamente era presente a se stesso, alla propria madre e all’ambiente esterno, immerso nelle forze cosmiche e universali, simbolicamente rappresentate dalla forma rotonda dell’utero materno, che dal concepimento lo contiene e accompagna lungo il cammino della filogenesi fino alla nascita, per poi ritrovalo all’esterno nella forma rotondeggiante del seno e dell’areola mammaria.

In genere si dimentica, che in questa delicata fase il bambino ha la capacità di entrare in contatto non solo con il corpo della propria madre, ma anche e soprattutto con la vita interiore dei propri genitori, per assaporare il senso della loro presenza, per condividere con loro il valore dell’esperienza, ma soprattutto per imparare a conoscersi reciprocamente, così da gettare le basi per una lunga e proficua intesa e collaborazione. Non va dimenticato che una buona pratica di allattamento si fonda su un’adeguata sintonizzazione e sincronizzazione tra madre e figlio e che questa si costruisce passo dopo passo nel corso della gestazione.

Il fatto che il nascituro non sia ancora ritenuto a pieno un soggetto d’esperienza, dotato di un proprio progetto di vita, ma un essere con un organismo in costruzione essenzialmente passivo e con un’anima molto primitiva, fa si che i genitori e in particolare la madre, continuino a rimanere in molti casi, seppur fisicamente vicini, lontani interiormente dal proprio figlio: quale realtà separata e misteriosa, da scoprire dal momento della nascita.
Tutto questo quando sappiamo che il concepito è l’artefice, "il direttore d’orchestra" del suo sviluppo, e che durante il periodo della vita prenatale è possibile scorgere, anche se ancora marginalmente e in termini rudimentali i tratti personologici della sua individualità, come rilevato dagli studi sul comportamento fetale nell’utero materno.

L’atteggiamento distaccato ed esteriore dei genitori durante la gravidanza, come sappiamo, ostacola la costruzione del legame di attaccamento con il figlio, purtroppo però questo è incentivato da una





cultura, come la nostra, che da tempo ha sostituito il sentire interiore, tipico di chi vive immerso e a contato con la natura, con ciò che si vede all’esterno e con ciò che appare, a scapito di ciò che è; dove i contenuti interiori sono continuamente sostituiti dai contenuti esteriori, come accade nella pubblicità quando la maglietta sostituisce la felicità e il sapore di uno Yogurt l’amore.

In questo clima alla classica fiducia presente in passato verso la meravigliosa opera svolta dalla natura si è andato progressivamente a sostituire il dubbio e il distacco, se non addirittura la sfiducia, alimentati da una sorta di onnipotenza indotta dai mezzi messi a disposizione dalla biotecnologia. Ciò spiega il frequente e sistematico ricorso a viste, controlli ed esami, alcuni di questi invasivi, per verificare la bontà e la correttezza di come sta procedendo lo sviluppo prenatale, anche quando questo non si dimostra necessario. Molto spesso al basso grado di soddisfazione per le prestazioni ricevute si associa nei genitori e di conseguenza anche nel figlio, un aumento di preoccupazione, unita ad ansia e tensione. Fattori questi, che se presenti, possono disturbare la pratica dell’allattamento, in quanto questo richiede la massima disponibilità e distensione della madre e un adeguato supporto dell’ambiente circostante, per permettere al figlio di sentirsi a proprio agio e libero di potersi attaccare al seno lasciando che le memorie genetiche iscritte nei suoi geni facciano la loro parte.

Attualmente la pratica del controllo obiettivo esterno, che sappiamo dalla ricerca non essere tale, perché influisce sull’esito della valutazione, non è controbilanciata nei genitori da esperienze capaci di generare e infondere in loro fiducia e sicurezza nelle proprie capacità e in quelle del proprio figlio, e questo alla lunga rischia di minare la stessa relazione tra genitore e figlio. Spesso si è sentito, da parte delle madri durante la gravidanza, prese dal senso di sconforto e solitudine, dire: “Non vedo l’ora che questo periodo finisca quanto prima, non ne posso più, sono stressata”. Naturalmente si può immaginare che cosa vogliano dire queste premesse rispetto all’allattamento, quando sappiamo che la relazione ha un carattere continuativo e progressivo, e che la riuscita di questa, come ogni altra esperienza a carattere sessuale, dipende molto dal grado d’intesa e intimità reciproca raggiunta.

In realtà non si riesce a capire perché al bambino non sia assegnato durante la gravidanza e il parto il ruolo che gli

Rivista Italiana online "La Care" Vol 3 No 1 anno 2015
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