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Verso l’infinito e oltre!
Come l’allattamento al seno ci protegge per tutta la vita!
Al centro di ciò troviamo anche un’altra parola chiave, ossia: “comunicazione”.
La sociologia ci insegna che “la comunicazione rende il mondo abitabile” in effetti è vero, però a volte se il codice non è condiviso e si usano strutture linguistiche differenti tra operatore e la donna, si possono verificare delle incomprensioni che portano a problemi di gestione dell’allattamento. E quindi sarebbe opportuno in tutte le fasi di promozione cogliere i segnali che ci circondano, in fondo la comunicazione è fatta anche di gesti, di cinesica e di prossemica, che dunque rendono impossibile non comunicare.
Infatti Watzlawick afferma chiaramente che “non si può non comunicare”.
In particolar modo possiamo attuare delle strategie nel post partum che ci possono far avere una visione d’insieme migliore e quindi personalizzare il tipo d’assistenza e di approccio.
Da quanto analizzato in precedenza, l’allattamento al seno e il suo corretto avvio risente di una serie di variabili che dovremmo valutare: il decorso della gravidanza, l’andamento del travaglio, la modalità del parto, la possibilità di scelta delle pratiche da ricevere, il rispetto o meno delle sue scelte da parte dei professionisti, il supporto familiare e professionale, la presenza di traumi e il rispetto dei passi BFHI dell’UNICEF/OMS almeno dal 3 al 9.
Quindi nel relazionarci alla donna dobbiamo evitare di essere superficiali, cercando di risolvere semplicemente una determinata problematica, ma bisogna andare alle cause profonde che hanno permesso al problema di manifestarsi. In questo modo oltre a trovare la risoluzione di un problema, avremmo ridotto il rischio che si ripresenti.
Dunque nel post partum, ossia il periodo che va dalla nascita sino alla ripresa dell’attività ciclica ovarica, dobbiamo cercare di creare una relazione con la donna soddisfacente che possa promuovere realmente l’allattamento al seno.
Sicuramente già dall’osservazione della poppata, anche senza parlare, possiamo cogliere dei segnali che ci forniscono delle informazioni di salute.
Ad esempio analizzando la postura delle gambe e/o delle spalle o l’espressione del volto possiamo capire se prova dolore o disagio. Inoltre se poniamo attenzione ai bisogni della diade madre-bambino, imparando ad ascoltare empaticamente la donna, senza nessun atteggiamento giudicante e senza fretta di concludere il controllo e in atteggiamento di apertura in modo tale da formulare domande aperte che permettono alla mamma di aprirsi completamente.
Ciò ha conseguenze positive sia sulla donna che si sentirà accolta, ascoltata, capita e supportata correttamente che sugli operatori che hanno potuto rilevare le vere necessità della mamma e hanno saputo fornire le giuste informazioni e suggerimenti del caso.
Così facendo potremmo ristabilire il ruolo dell’allattamento nella nostra società, in continua evoluzione, in cui tutti hanno una propria responsabilità e raggiungere la meta dell’allattamento di lunga durata, ricordandoci che l’OMS raccomanda l’allattamento esclusivo al seno fino a 6 mesi e dopo l’introduzione di alimenti complementari fino a 2 anni ed oltre finché mamma e bambino lo desiderino.

Volevo concludere con questa considerazione:

 “L’allattamento è la prosecuzione della gravidanza, allorché il bambino si è trasferito dall’interno all’esterno, si è separato dalla placenta, ha afferrato il seno e beve non più rosso, ma bianco sangue. Beve sangue? Sì, sangue della madre perché è questa la legge della natura” J. Korczak, 1920.

E dunque perché cambiarla?
Ai posteri l’ardua sentenza…
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 11, Numero 1-2, anno 2018
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