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Etica in pediatria: i quattro errori
Inoltre, che i genitori hanno un limite nella decisionalità, che è “la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignita'”, cioè, mentre un adulto può chiedere la sospensione di qualsiasi trattamento, il tutore/genitore del minore può chiedere la sospensione solo dei trattamenti “facoltativi”, ma non di quelli che salvano la vita e la salute.

I quattro errori

In pediatria esistono varie situazioni delicate in cui le decisioni etiche si pongono, e non sono solo quelli di fine-vita come si penserebbe, ma riguardano vari altri aspetti della attività pediatrica. Qui riportiamo un breve decalogo, per mostrare un semplice modo di approccio e un suggerimento alla riflessione e ad un comportamento etico. Per questo fine, riportiamo quattro errori da evitare in campo bioetico.

Consenso informato

Considerarlo come un foglio da far firmare e non come un processo di dialogo che finisce con un’accettazione o rifiuto di una terapia. Scriverlo in modo che sia illeggibile, e pensare che più cose facciamo firmare – comprese le mille procedure solo possibili e non quelle solo al momento proposte per il bambino - più siamo al sicuro da rivendicazioni: sbagliato, perché rendere il consenso una liberatoria non garantisce proprio nulla per il medico ed è facilmente impugnabile dal paziente.

Fine-vita

L’errore peggiore è prendere decisioni di fine-vita su basi probabilistiche, cioè sul fatto che “è possibile” che il bambino abbia una sofferenza insopportabile o sia davvero in fin di vita oppure che le terapie non abbiano efficacia, invece di farlo dopo aver avuto prove chiare e dati inoppugnabili.
Sbagliato anche è riversare le decisioni sulle spalle dei genitori, che devono sempre essere informati e consultati, ma le decisioni vanno prese solo nel miglior interesse del bambino, evitando che il genitore, ignaro di competenze mediche e in preda all’ansia, sia il capro espiatorio delle scelte etiche. Ho recentemente richiamato la necessità di evitare l’uso del cosiddetto “best interest principle”, cioè la valutazione di un ipotetico “miglior interesse del bambino”, ma di basare le decisioni di fine-vita su un parametro più realistico, cioè la presenza di dolore o stress intrattabili e insopportabili, che ho chiamato “pain principle”.

Ricerca scientifica

Mai permettere che nei trials clinici i bambini siano sottoposti a procedure che un adulto tollererebbe per sé ma che invece sono oggettivamente fastidiosi o dolorosi per un bambino, che non può dare l’assenso al procurato disagio. Per esempio trials dolorosi o prelievi di grosse quantità di sangue.

Etica del personale curante

Pensare che basti applicare i protocolli, e che più se ne stilano meglio è, per garantire una buona assistenza. In realtà, la buona assistenza non passa attraverso il moltiplicarsi delle regole, che invece rendono l’assistenza burocratica, macchinosa e ferruginosa, ma passa attraverso la valorizzazione del personale: il dolore e lo stress sono contagiosi: il personale stressato lavora male e soprattutto comunica lo stress ai bambini, peggiorandone la compliance e i tempi di guarigione.

Conclusione

L’etica in pediatria deve passare da una visione basata sul medico e sui suoi impegni, pur importanti e da riconoscere, ad una visione basata sul bambino e i suoi diritti.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 12, Numero 3, anno 2018
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