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L’allattamento nelle madri HIV positive

IL COUNSELLING OSTETRICO E L’ASPETTO PSICOLOGICO MATERNO

Tre studi qualitativi condotti in diversi contesti sociali esplorano i sentimenti ambivalenti che si creano nelle donne HIV positive, indagano la percezione del ruolo di madre nel nutrire il proprio neonato e l’impatto che l’HIV ha sulla maternità.
L’analisi di tali studi rivela la presenza di sentimenti comuni quali paura, ansia, senso di colpa connesso al rischio di trasmissione verticale, ma anche fede, speranza nella terapia antiretrovirale e ricerca di maggiore contatto fisico con il proprio bambino.
Gli studi esplorativi delle reazioni psicologiche e delle coping strategies delle nutrici HIV positive condotti in Zambia e Ghana, rispettivamente “Promotion of exclusive breastfeeding among HIV-positive mothers: an exploratory qualitative study”, e “Qualitative exploration of psychological reactions and coping strategies of breastfeeding mothers living with HIV in the Greater Accra”, pubblicati da Hazemba A.N. e Acheampong A.K., pubblicato dall’International Breastfeeding Journal nell’anno 2016 e 2017, rivelano come le madri HIV positive non ricevano sufficiente sostegno e informazioni da parte del personale sanitario. Le donne affermano di aver scelto l’EBF perché consigliato dal personale sanitario senza aver effettuato una scelta libera e consapevole, con una giusta valutazione del rischio e beneficio. (20)(21)
Sentimenti analoghi si ritrovano anche all’interno di uno studio condotto dall’università di Thaksin, su un gruppo di donne Thai sieropositive nel sud Thailandia, in un contesto sociale dove l’allattamento al seno risulta essere una pratica comune e l’infezione da HIV un tabù. L’attuale politica sanitaria sconsiglia l’allattamento al seno e provvede alla distribuzione gratuita della TAR alle madri oltre che del latte in formula durante il ricovero in ospedale e fino ai sei mesi di vita del neonato.

La quantità di latte in formula fornita al mese non sempre risulta essere sufficiente per la crescita ottimale del bambino. La maggior parte delle donne esprimono sentimenti come paura di venir stigmatizzate dalla società, dalla famiglia e il senso di colpa derivante dall’incapacità di nutrire i propri bambini, sia non riuscendo a sostenere il costo di ulteriore latte in formula sia per l’impossibilità di allattare, considerandosi infette. (22)
Il ruolo dell’ostetrica, all’interno di un team multidisciplinare, si fonda non solo sulla necessità di effettuare un accurato e completo counselling sui rischi e benefici derivanti dall’allattamento esclusivo al seno, ma anche quello di indagare i fattori che possano influenzare positivamente o negativamente la scelta e i sentimenti delle donne durante l’allattamento.

CONCLUSIONI

L’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi nelle donne HIV positive è possibile anche in presenza di un’alimentazione sostitutiva sicura, quando sussistono precisi criteri di sicurezza clinici quali una conta dei linfociti T CD4+ > 200 unità/mm3 e una viremia nulla, la possibilità di effettuare controlli sierologici e di essere informate attraverso un corretto e completo counselling riguardo alla feeding practice più adatta e sicura. Quindi tutto ciò, insieme alla possibilità di effettuare una scelta libera, informata e una forte motivazione materna, rappresentano le caratteristiche cardine affinché la pratica dell’allattamento esclusivo al seno possa avvenire con successo e in sicurezza nelle madri HIV positive anche nelle nostre realtà.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 12, Numero 3, anno 2018
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