Home sito | Copertina | Indice |            « Indietro Pagina [30] di 43 Avanti »
Il ruolo dell’ostetrica nell’assistenza alle donne vittime di violenza
Si individua così una sorta di spirale che ha origine dalle rappresentazioni mentali prenatali che influenzano le percezioni e le interazioni con il neonato le cui risposte influenzano a loro volta lo stile di attaccamento.

Il sistema di attaccamento della madre, esattamente come quello del bambino, contiene rappresentazioni internalizzate di sé e degli altri.
In condizioni ottimali, i due sistemi sono tra loro connessi e funzionano in tandem, producendo interazioni ripetute che producono relazioni sicure e stabili che rispondono ai bisogni del bambino e lo conducono allo sviluppo di rappresentazioni oggettuali coerenti; in condizioni di particolare stress, come quelle determinate dalla presenza di violenza domestica, tali configurazioni vengono fortemente destabilizzate e perturbate dando luogo a stili di attaccamento di tipo insicuro e a rappresentazioni mentali incoerenti e instabili.

Le donne vittime di violenza durante la gravidanza tendono a sviluppare legami più fragili con il proprio bambino e tendono a colpevolizzarlo o a colpevolizzarsi a seguito dell’ incapacità di prendersene cura; ad esempio, percepiscono il neonato come poco aperto e comunicativo e difficile da accudire; si reputano incompetenti, non in grado di rispondere al figlio in maniera attenta e sensibile, incapaci di chiedere aiuto e manifestano spesso rabbia, tristezza e in generale emozioni negative quando parlano dei loro bambini.

Spesso in queste donne si presentano fantasie persecutorie relative al feto la cui presenza, anche attraverso i suoi movimenti e le sensazioni fisiche provate dalla madre, viene spesso valutata come minacciante o rievoca traumi o paure scatenate o associate proprio dalla violenza subita.
Queste donne si presentano fredde, distanti, arrabbiate, ansiose e preoccupate, con una sensazione di sopraffazione e di incapacità di gestire la complessità della loro situazione; le future madri, inoltre, percepiscono il bambino come potenziale aggressore, i suoi movimenti come fastidiosi e intrusivi, che possono provocare dolore e associano l'idea del bambino a quella del padre violento, esprimendo la paura che possa rivelarsi aggressivo anche lui.

Nel postpartum la violenza domestica continua a giocare un ruolo importante: se la donna ha sperimentato violenza domestica nel corso della gravidanza o nel primo anno di vita del bambino, è probabile che il bambino sviluppi uno stile di attaccamento insicuro e che lo mantenga tale entro i 4 anni di età.

La spiegazione di ciò ha a che fare con quello che sembra l’ambito maggiormente pregiudicato nel caso di bambini molto piccoli, ovvero la percezione della sicurezza, area a rischio a causa del fatto che l'ambiente familiare, che dovrebbe rappresentare una fonte di accudimento e rassicurazione nel suo strutturarsi come base sicura, contiene, invece elementi ansiogeni, di insicurezza e imprevedibilità: la presenza di un genitore al contempo figura protettiva ma anche fonte di trascuratezza e abuso o del quale si ha paura, destabilizza profondamente il bambino e le sue percezioni rispetto a chi è da ritenersi affidabile, presente, buono e chi invece spaventa, minaccia ed è cattivo.

BIBLIOGRAFIA

A. GIUSTARDI La vita prenatale può influenzare il legame madre-padre-neonato? LA CARE ( AICIP) Volume 8 Numero 2 anno 2017, ISSN 2531-3886

M. Stablum, A. Giustardi: Il pianto del neonato: LA CARE ( AICIP) Volume 13 Numero 4 anno 2018 ISSN 2531-3886

Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 15, Numero 2, anno 2019
30
            « Indietro Pagina [30] di 43 Avanti »