Il ruolo dell’ostetrica nell’assistenza alle donne vittime di violenza
È importante ricordare che la violenza in questo periodo particolare della vita di una donna assume particolare rilievo in quanto le persone offese sono due: la gestante ed il feto, e che esiste una relazione tra la violenza in gravidanza e il rischio di abuso sui figli, in quanto il partner che abusa della madre ha una probabilità di avere un comportamento violento con i figli in una percentuale che oscilla tra il 40 % e il 60%.
La violenza durante la gravidanza porta a conseguenze gravi sia per la madre che per il feto, tra queste le più frequenti sono:
- Minaccia di aborto
- Aborto spontaneo
- Nascita di un feto morto
- Minaccia di parto pretermine
- Iperemesi gravidica
- Algie pelviche
- Infezioni del tratto urinario
- Ritardo nell’assistenza prenatale
- Travaglio e parto prematuro
- Lesioni fetali
- Basso peso alla nascita, causa a sua volta dell’alta mortalità neonatale soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Come sopra accennato, il danno più grande conseguente ad abuso in gravidanza è la morte materna: uno studio condotto in India ha registrato percentuali del 16% di mortalità materna in gravidanza a causa di violenza da parte del partner.
A prescindere dallo stato gravidico, la violenza sessuale influisce negativamente e profondamente sulla salute riproduttiva della donna. In primo luogo, è fonte di malattie sessualmente trasmesse, prima tra tutte l’AIDS.
Inoltre, come largamente constatato negli anni anche l’uso di sostanze come fumo, alcol, droghe incide profondamente sullo stato di salute del feto.
Il post partum ed il puerperio sono periodi di profonda crescita e cambiamento per la donna, che si vede investita di un ruolo nuovo con il quale deve imparare a convivere. La presenza di una nuova creatura crea squilibrio e crollo delle certezze che la donna aveva nel periodo pregravidico.
In primo luogo, il crollo dell’idea del “bambino ideale” porta la neo mamma a confrontarsi con quello che è concretamente il suo bambino e la porta a dover ridimensionare l’idea che aveva sviluppato nei confronti del proprio figlio.
Oltre al disorientamento che la donna avverte dovuto al rapporto con il neonato, grande importanza hanno i cambiamenti fisici che il proprio corpo subisce dopo il parto: la donna deve abituarsi alle sue nuove forme, compiere un percorso interiore di accettazione del proprio fisico ed adattarsi a tali novità talvolta può essere faticoso.
La grande maggioranza delle donne nei giorni dopo il parto attraversa un periodo in cui si alternano sentimenti di paura, accettazione, abbandono che quasi sempre sfociano nel fenomeno del baby blues, anche detto maternity blues o disforia post partum, caratterizzato dalla presenza di instabilità emotiva, ansia, irritabilità; è quindi un’alterazione del tono dell’umore considerato però ancora fisiologico.
È importante però che tali squilibri non si intensifichino sfociando poi nella condizione patologica della depressione post partum, condizione strettamente legata alla concomitante o precedente presenza di violenza.
Tale quadro sintomatologico inevitabilmente influisce nel rapporto che si va a creare nella diade madre – bambino.
Il processo di attaccamento può risultare compromesso dalla scarsa disponibilità nei confronti del neonato, considerato che queste madri sembrano meno in grado di rispondere alle sue esigenze, di prevenire i suoi bisogni, di sintonizzarsi affettivamente con il figlio. Inoltre, si trovano spesso a mostrare rabbia, usare linguaggio volgare anche nei confronti del bambino, urlare, fino a maltrattarlo.
Tali comportamenti compromettono lo sviluppo del bambino sin dai primi giorni, in particolar modo risultano maggiormente a rischio i bambini nella fase della prima infanzia proprio a causa della loro assoluta dipendenza dalle cure del caregiver.
Rivista Italiana
on line "LA CARE" Volume 15, Numero 2, anno 2019
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