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Anche i papà vogliono esserci:
Il concetto di maternità è sempre esistito, sin dall'inizio dei tempi, mentre, quello di paternità è comparso più tardivamente, quando è stato scoperto che, per poter procreare, era necessaria anche la presenza di un uomo. È quindi un concetto acquisito, culturale.
I padri di oggi si interrogano sul proprio ruolo già dalla gravidanza, senza trovare modelli ai quali rifarsi. Uno dei rischi che si corre è che i padri possano pensare di dover creare una diade padre-bambino che possa in qualche modo sostituire quella madre-bambino. La presenza e la partecipazione dell’uomo alla gravidanza deve essere vista invece come un modo per favorire la costruzione della triade madre-padre-bambino. Inoltre, se, da un lato, c’è il tentativo di costruire un rapporto con il proprio figlio basato sull’empatia, sul dialogo e più libero in termini di emozioni, dall’altro discostarsi totalmente dal modello autoritario non è facile e non sempre i padri riescono effettivamente a metterlo in atto. I padri di oggi, inoltre, scelgono di diventare tali insieme alla propria compagna (a meno che non si tratti di una gravidanza imprevista) se le condizioni economiche sono favorevoli e se, effettivamente, entrambi si sentono pronti.
La paternità è quindi una scelta consapevole, non più un’imposizione di carattere culturale e sociale. Si è assistito, quindi, ad una sempre maggior coinvolgimento dei padri già durante la gravidanza, ed ancora di più nella fase post-natale. Ai padri sono stati riconosciuti anche più diritti, in particolar modo nel 2012 quando con la legge 92 è stato istituito, in via sperimentale, un congedo paternità del quale si può usufruire non solo in caso di nascita di un nuovo figlio, ma anche in caso di adozione ed affido.
Dall’anno 2018 i giorni di congedo obbligatorio sono passati dall’essere due a quattro. Si tratta di una conquista importante per i neopapà che possono in tal modo dedicarsi di più alla cura del proprio bambino nei primi giorni di vita.
L’arrivo di un figlio porta con sé una serie di emozioni nella coppia che si ritrova a dover far spazio ad una nuova vita tra di loro e a dover fare i conti con la transizione ad un nuovo ruolo.
Scoprire di aspettare un figlio, anche se è una gravidanza programmata, è fonte di sorpresa per la donna, che, generalmente come prima cosa informa il padre del bambino.
Il primo trimestre è caratterizzato da sentimenti di ambivalenza: da un lato c’è la felicità di aspettare un figlio, dall’altro ci sono tutte le preoccupazioni relative al proprio ruolo di genitore e alle paure su gravidanza, travaglio e parto. Questi sentimenti possono essere espressi dalla futura mamma anche in maniera indiretta, attraverso lamentele sul dolore fisico, insoddisfazione per i cambiamenti del proprio corpo, eccessive alterazioni dell’umore. In questa fase iniziale, la donna può iniziare a diventare più introspettiva e passiva. Questo atteggiamento è una sorta di “regressione psichica” con la quale tutto ciò che è presente all’interno diventa più importante di ciò che c’è all’esterno.
Questo fenomeno aiuta la donna a riflettere sui cambiamenti che stanno avvenendo nella sua vita e a facilitare il contatto con la vita che sta crescendo dentro di lei. Nel secondo trimestre, si fanno vivi i cambiamenti nel corpo della donna.
Durante il terzo trimestre, la donna si fanno vive le ansie per il travaglio ed il parto. Aumenta il disagio fisico, l’affaticamento ed è per questo che alcune donne mostrano una vera e propria impazienza nell’aspettare il momento del parto. Si ripresentano quindi sentimenti di ambivalenza: da un lato la donna non aspetta altro che la nascita del proprio bambino, dall’altro è spaventata all’idea di dover affrontare il travaglio e la separazione fisica da suo figlio. L’annuncio della gravidanza, in particolar modo se pianificata, è di solito accolta con immensa gioia dai futuri papà, che vedono affermare la propria virilità e realizzarsi il proprio desiderio di paternità (se presente).
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 19, Numero 2, anno 2020
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