La Puericultura: parte fondamentale della pediatria
I CAPRICCI
Maria Montessori fu una pedagogista italiana che esportò in tutto il mondo un metodo rivoluzionario di approccio al bambino.
Eravamo all’inizio del secolo scorso. La Montessori era avvilita nel vedere i bambini trattati con metodi contenitivi, come fossero piccoli delinquenti, cui si doveva vietare e inculcare questo e quello, in modo da avere «buoni cittadini».
Era l’epoca dell’eugenetica diffusa soprattutto nel nord Europa e negli Stati Uniti, secondo la quale la genetica (una realtà appena scoperta) era la causa unica e preponderante del carattere; in cui le forme dei crani delle persone erano segni che ne predicevano il futuro da delinquenti; in cui si pensava che uno era povero perché era cattivo.
La Montessori si ribellò a questo, e introdusse un metodo che introduceva gli stimoli e l’accoglienza nella cura dei bambini nelle scuole e negli asili.
Fu un grande successo, ripreso in tutto il mondo.
Ma un successo che ancora attende di maturare e portare tutti i frutti che dovrebbe.
I capricci non esistono
Per Maria Montessori i capricci non esistono.
Ma allora non esistono bambini cattivi o, diciamo anche, i bambini non sono cattivi ogni tanto?
In realtà le cose stanno proprio così.
Per capire meglio, dobbiamo distinguere lo scatto d’ira e il capriccio.
Lo scatto d’ira è una manifestazione fisiologica verso una realtà che non si piega ai desideri del bambino. Ma è un fenomeno isolato, dura poco, come abbiamo visto nel precedente capitolo.
Il capriccio è una manifestazione di un desiderio cui l’adulto risponde male; e allora il bambino ripete e ripete con l’unica maniera espressiva che ha a disposizione, per far intendere all’adulto una cosa a lui evidente, che, a quanto pare, l’adulto non vuole capire: la bizza. Insomma: il capriccio non avviene perché il bambino non ottiene quello che vuole, ma perché ottiene quello che NON vuole.
Cosa significa che «ottiene quello che NON vuole»?
Per capirlo, partiamo da un dato: il bisogno PRIMARIO del bambino nei primi anni di vita è avere il genitore come «porto sicuro». Perché sia un porto sicuro, il genitore deve essere sufficientemente disponibile e attento, capace di cogliere il disagio, capace di consolare, di incoraggiare.
Di guardare il bambino quando va in bicicletta e chiede di essere guardato e complimentato; di dargli il latte se è lattante, di rispondere ai suoi vagiti e di rivolgergli uno sguardo di attenzione, fiducia, interesse.
Questo è il bisogno primario.
Perché, come abbiamo già detto, il bambino impara a fare le cose ricercando lo sguardo e l’approvazione del genitore; il bambino impara a voler bene a sé stesso riflettendo lo sguardo del genitore. Se il genitore è sufficientemente buono da dedicare tempo al bambino, perché davvero interessato, il bambino sarà soddisfatto.
Se il genitore non gli dedica tempo o glielo dedica distrattamente, o gli dà il primo gioco che gli passa tra le mani per tacitarlo, il bambino «si arrabbia», fa le bizze. E ha ragione! Lui chiedeva noi, e noi gli abbiamo dato un’altra cosa.
Allora avviene un fenomeno interessante: il bambino che non riceve dal genitore l’attenzione ma il gelato (o il ciuccio o il tablet), impara a chiedere il gelato o il ciuccio o il tablet
perché il genitore col suo comportamento poco accorto gli ha insegnato che
quello è il massimo che può ottenere.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 28, Numero 1, anno 2024
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