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L’allattamento nelle madri HIV positive
Il rischio di trasmissione verticale, anche attraverso l’allattamento, diminuisce drasticamente, passando dal 20-45% al 2% (10), quando: • Viene effettuata una diagnosi precoce: lo screening dell’ HIV fa parte dei test previsti in gravidanza e garantiti dal SSN, rientrando negli esami obbligatori esenti da pagamento come affermato anche dal Sistema Nazionale Linee Guida. Il test utilizzato per la ricerca del virus è il test ELISA il quale viene effettuato una prima volta entro la 12a settimana e viene ripetuto nel terzo trimestre dopo la 28a settimana. In caso di positività la diagnosi deve essere confermata con il metodo Western Blot.(11)
• Trattamento antiretrovirale sia per la madre, cominciata almeno dalla 20a settimana di epoca gestazionale, che per il neonato. La monoterapia con zidovudina (AZT o ZDV) riduce il rischio di trasmissione dal 25,5% al 8,3% ed è indicata nelle donne con carica virale inferiore alle 6-10 mila copie/ml. Invece la terapia combinata, ovvero la HAART, con due o più farmaci, viene preferita per le donne con quantità di HIV RNA superiore alle 10 mila copie/ml. Le donne che seguono la HAART già dall’epoca preconcezionale devono continuarla durante tutta la gravidanza e il puerperio.(12)
• Conta dei linfociti T CD4+ > 200 unità/mm3, l'HIV è in grado di infettare i linfociti B, macrofagi e cellule nervose, ma presenta un particolare tropismo ed effetto citopatico per la sottopopolazione dei linfociti T helper CD4+,causa principale della perdita delle funzioni di difesa dell’organismo.
• Carica virale nulla, ovvero inferiore a 50 copie/ml. (13)

LINEE GUIDA DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’ 2016 (OMS)

Nel 2010 l’Organizzazione Mondiale della Sanità per la prima volta raccomanda la terapia antiretrovirale come intervento per prevenire la trasmissione post-natale del virus HIV attraverso l’allattamento.
Nello stesso anno l’OMS ha effettuato una revisione delle proprie linee guida sull’HIV e nutrizione infantile, al fine di proporre alle autorità nazionali un diverso approccio nella sanità pubblica. In particolare viene raccomandato di promuovere e supportare un’unica “feeding practice” e che tutte le madri HIV positive possano facilmente accedere alle cure in strutture pubbliche. Tali linee guida e raccomandazioni sono state aggiornate e confermate nel 2013 e nuovamente nel 2016.
L'obiettivo è quello di aumentare il tasso di sopravvivenza e diminuire i casi di trasmissione nei neonati esposti all'HIV, fornendo indicazioni sulle appropriate pratiche di alimentazione infantile, sull'utilizzo dei farmaci antiretrovirali e l'aggiornamento di strumenti e materiali per la formazione del personale sanitario. La prima raccomandazione dell’OMS afferma che:
“Le madri HIV positive dovrebbero allattare per almeno 12 mesi ed eventualmente continuare fino a 24 mesi o oltre (come per la popolazione generale), mentre vengono pienamente supportate dalla terapia antiretrovirale”. (14)
L’ allattamento esclusivo al seno protratto oltre i 6-12 mesi viene raccomandato qualora l’ alimentazione sostitutiva debba essere effettuata in assenza dei criteri AFASS, secondo i quali un alimento sostitutivo del latte materno, soprattutto il latte in formula, deve essere:
• Accettabile: evitare lo stigma sociale;
• Fattibile: facile reperibilità ed accesso ai servizi per la salute del neonato;
• Adeguato: adatto alla nutrizione del bambino per ingredienti e dosi;
• Sostenibile: possibilità di acquistare sufficiente latte in formula per garantire la normale crescita e sviluppo del neonato;
• Sicuro: l’acqua e il luogo di preparazione devono essere sicuri e puliti.(9)

La seconda raccomandazione invece sottolinea l’importanza di porre a disposizione di tutte le donne in gravidanza
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 12, Numero 3, anno 2018
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