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L’allattamento nelle madri HIV positive
e delle madri sostegno e consulenza da parte di personale qualificato per promuovere ottimali pratiche nutrizionali dei bambini. In particolare alle madri affette da HIV deve essere fornita la possibilità di ricevere una completa Terapia Anti Retrovirale (TAR) e accurate informazioni sia sui rischi derivanti dall’allattamento al seno sia sull’ alimentazione sostitutiva. (14)
Le feeding practice, ovvero le modalità di nutrizione del neonato sono tre: allattamento esclusivo al seno (EBF, exclusive breastfeeding), allattamento prevalente al seno (PBF, predominant breastfeeding), allattamento misto (MBF, mixed breastfeeding), associati rispettivamente a un rischio di trasmissione del 5,1%, 6,7% e 10,5%. L’aumento del rischio di trasmissione è riconducibile all’ipotesi che l’allattamento misto causi infiammazioni locali, esponendo cellule bersaglio presenti sulla superficie della mucosa orofaringea e intestinale del neonato. Infatti i neonati allattati esclusivamente al seno mostrano una permeabilità, a livello intestinale, minore rispetto a quelli alimentati con altre tipologie di cibo e liquidi. (9)(15)
L’allattamento esclusivo al seno previene 1,3 milioni di nuove infezioni ma nonostante ciò viene applicato solo nel 39% dei casi.(16) Nella terza raccomandazione l’OMS si esprime in merito alle madri che desiderano pianificare una durata minore dell’allattamento, affermando che: “un allattamento esclusivo al seno per un tempo minore dei 12 mesi è sempre una scelta migliore rispetto al non praticarlo”. (14)

IN LETTERATURA

Lo studio “HIV trasmission through breastfeeding, a study in Malawi”, pubblicato dalla rivista medica e network JAMA nell’anno 1999, si interroga sui benefici e i rischi derivanti da uno svezzamento precoce.
Questo studio prospettico, condotto su coorti di donne HIV positive non sottoposte a TAR, in tre anni ha rivelato che il rischio di infezione per neonati, allattati esclusivamente al seno, è pari a 3,5% fino ai 5 mesi di vita, 7% alla fine degli 11 mesi, 8,9% a 17 mesi e 10,3% a 23 mesi. (17)

Nonostante il rischio aumenti per una maggiore esposizione nel tempo al latte materno, non vi sono benefici maggiori nell’effettuare uno svezzamento precoce a 4-5 mesi. Infatti il latte materno protegge il bambino da altre patologie non solo per i primi cinque mesi di vita, ma anche ad un’età maggiore.
Uno svezzamento precoce è associato ad un aumento della mortalità e della morbosità sia nei neonati liberi dalla malattia, sia in quelli che hanno contratto il virus HIV. (15)

I dati raccolti dallo ZEBS (Zambia Exclusive Breastfeeding Study) dimostrano che la percentuale di neonati allattati esclusivamente al seno da madri sottoposte a TAR per sei mesi dopo il parto, liberi dalla malattia a 12 e 18 mesi, è pari rispettivamente all’ 85-96% e 81,6-95,2%.

Un’estensione del tempo di somministrazione della TAR porta ad un aumento del tasso di sopravvivenza libera da malattia pari a 88,8-95% a 12 mesi e 87,2-97,8% a 18 mesi. All’interno sempre dello stesso studio si riscontra che il 50% dei neonati che hanno contratto l’infezione, facenti parte del gruppo in cui si è effettuato uno svezzamento precoce, andava incontro a morte intorno ai 12 mesi di vita mentre nel gruppo randomizzato che ha continuato l’allattamento dopo i sei mesi la mortalità a un anno era il 25%. (14)(7) Inoltre la TAR somministrata alla madre e al neonato si è dimostrata essere un’arma di difesa ottimale contro l’infezione garantendo la sopravvivenza fino all’età adulta nel 90% dei casi. (10)
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 12, Numero 3, anno 2018
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