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La presenza delle madri in Terapia Intensiva Neonatale
I sentimenti e i pensieri che emergono in queste situazioni, pur nell'unicitŕ di ogni storia, sembrano seguire un percorso comune. I genitori vengono catapultati in fasi di dolore che innescano intensi vissuti di confusione, shock, rifiuto, rabbia, delusione e senso di colpa conseguenti la fantasia di aver provocato la nascita patologica o prematura di un infante.

Attaccamento madre – neonato

L'importanza del legame di attaccamento madre – neonato ai fini dello sviluppo e del benessere cognitivo e comportamentale di quest'ultimo, è attualmente consolidata.
Nel contatto precoce e nell'accudimento continuo, la madre ha la possibilità di conoscere il proprio bambino e di sperimentare, passo dopo passo, il suo essere base sicura di fronte alle necessità del neonato.
La nascita di un bambino prematuro o malato però, comporta il ricovero di questo presso la Terapia Intensiva Neonatale (TIN) e la separazione tra la madre e il neonato ostacola o rallenta tali processi. Il bambino che accede all'Unità Operativa di cure intensive viene precocemente privato sia dell'ambiente protettivo e accogliente cui beneficiava nella pancia della mamma, sia delle cure che avrebbe ricevuto se non fosse stato necessario il ricovero, quali ad esempio, il contatto fisico con i genitori, l' allattamento al seno, i massaggi.
La realtà traumatica della prematurità o di aver dato alla luce un neonato malato, connessa alla rappresentazione danneggiata del se' genitoriale e del proprio bambino, alla preoccupazione per il suo stato di salute e alla separazione tra i due, espongono la madre e il neonato ad una situazione di maggior vulnerabilità.
A conferma di questo quadro, Shaw e colleghi hanno recentemente condotto uno screening su un'ampia popolazione di madri pretermine, dal quale e‘ emerso che circa il 78% di esse presenta almeno un sintomo da distress psicologico riconducibile all'ambito depressivo, ansioso e traumatico.
E' interessante notare come la depressione insorga nella madre prevalentemente nei primi tre mesi di vita del bambino, coincidendo con una fase dello sviluppo chiamata da Trevarthen periodo della “intersoggettività primaria”. In questa fase i neonati sono straordinariamente sensibili alle risposte del partner durante le interazioni pelle – a – pelle, in cui la condizione di depressione della madre può incidere negativamente sulle capacità di stabilire un contatto adeguato e contingente ai segnali del bambino.
Questo periodo di crisi, caratterizzato da uno squilibrio psichico e comportamentale della madre, la porta a sviluppare dei meccanismi di coping per far fronte al senso di inadeguatezza che la pervade. L'esperienza della prematurità e/o di malattia infantile, con il conseguente ricovero il TIN, ha portato alcuni genitori canadesi e statunitensi a ritirarsi fisicamente e emotivamente, delegando allo staff medico-infermieristico il compito di curare e accudire il proprio figlio.
Latva e colleghi, nel 2006 hanno indagato la frequenza di visita dei familiari durante la degenza degli infanti prematuri presso la TIN del Tampere University Hospital (Finlandia). I risultati hanno mostrato, diversamente dallo studio sopra citato, una presenza attiva dei genitori: le madri hanno visitato i loro bambini in media 6,7 giorni/settimana, i padri invece 4,8 giorni/settimana. Elemento molto significativo emerso dallo studio è la stretta relazione fra età gestazionale del neonato e presenza delle madri, infatti un'età gestazionale piů bassa è stata associata a minor frequenza di visite materne.
Reynolds e collaboratori hanno evidenziato altri aspetti significativi in merito. Rispetto a studi fatti in Finlandia e in Gran Bretagna, in cui tre quarti dei genitori hanno visitato il loro figlio ogni giorno, questo studio svoltosi nella realtà americana ha dimostrato che meno di un terzo dei neonati prematuri in campione e‘ stato visitato sei o più giorni alla settimana.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 16, Numero 3, anno2019
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