Il dolore in travaglio di parto
Ivan Illich, scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco così osserva circa il dolore: “ogni cultura elabora miti, rituali, tabù e standardetici al fine di far fronte alla fragilità della vita [...] per spiegare il significato del dolore, la dignità nella malattia, il ruolo del morente o la morte”.
Il seguente tentativo, tanto costante quanto necessario, di inscrivere tali fenomeni entro ristrette aree semantiche piuttosto definite, convoglia in sé una tensione ermeneutica-antropologica ancor prima che scientifica, caratterizzando costantemente e universalmente qualsivoglia espressione culturale umana.
Per comprendere l’esperienza dolorosa in senso ampio è necessario, quindi, contestualizzarla in una cultura, in quanto essa illustra una specifica modalità di soffrire.
Concetti quali dolore e sofferenza sono stati passibili di volta in volta di frequenti interpretazioni, anche il loro rapporto reciproco ha subito dinamiche turbolente. Da posizioni olistiche, in cui dolore e sofferenza rappresentano due aspetti integrati e riconosciuti, a posizioni riduzionistiche medicalizzate, basate sulla esclusiva visione “nocicettiva” o psicologizzate. La storia del binomio dolore-sofferenza andrebbe declinata nello spazio e nel tempo dell’evoluzione culturale. Eppure il dolore è un’esperienza così connaturata all’essere umano che si sarebbe dovuta sviluppare una visione univoca della sua natura già da un lungo arco di tempo. Ironicamente, sembra che più si tenti di definirne i confini eziologicie clinici, più il dolore tenda a offrire aspetti oscuri e non codificabili. Soffrire è avere un segreto in comune con Dio”(Soren Kierkegaard). Dibattuto quanto attuale risulta essere la tematica del dolore in tutte le sue forme. Dick Read sosteneva che le donne possono sopportare il dolore del parto perché il corpo della donna ne è già predisposto geneticamente.
Nella maieutica Socratica, il parto ed il dolore si identificano nella nascita del bambino ma soprattutto promuovono i cambiamento della donna; rappresentano, infatti, la metamorfosi donna-madre poiché il corpo cambia, ma è il dolore che permette il profondo cambiamento dell’anima.
Socrate, ricordando come sua madre Fenarete fosse un’abile e stimata levatrice, rivendica l’ascendenza divina dell’arte di entrambi,
«ricevuta in dono da un dio: lei per le donne, io per i giovani nobili e per quanti sono virtuosi»
Naturalmente l’arte di Socrate si applica non ai corpi ma alle anime, che, simili alle sofferenze del parto, danno vita a pensieri e, in alcuni casi, a verità.
È noto, altresì, come sia enormemente rilevante la componente soggettiva del
dolore, che costituisce un connubio imprescindibile con l’emotività della
persona, non comparabile ad altre esperienze, intimamente sofferte, della vita.
La risposta al dolore è, pertanto, diversificata: varia dal sentire meramente
individuale.
La minuziosa descrizione del dolore del parto delle donne s’eleva a narrazione
di un’esperienza unica quanto irripetibile in cui questo sentire viene descritto
attraverso il processo del suo divenire.
Sono poche le donne che per definirlo lo assimilano ad altri dolori e dai
racconti emerge soprattutto che il dolore del parto si differenzia da ogni altro
dolore, un dolore non assimilabile ad altri e, persino la sua localizzazione che
è ben definibile, raramente viene evocata.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 19, Numero 2, anno 2020
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