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Effetti dell’obesità sull’outcome di gravidanze singole
Il numero delle donne patologicamente obese è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Particolarmente allarmante è il numero di donne che giunge alla gravidanza in stato di obesità.
L’obesità complica il 28% delle gravidanze e circa nell’8% dei casi l’ostetrica si trova gestire donne con obesità grave. L’obesità materna, infatti, è caratterizzata da specifici rischi sia per il feto che per la madre che si presentano durante l’intera gravidanza. Risultano aumentati i rischi per ipertensione gravidica, tromboembolismo venoso, aborto spontaneo, induzione del travaglio, taglio cesareo e infezioni e deiscenza della ferita chirurgica.
Le pazienti obese hanno inoltre un rischio maggiore di sviluppare diabete gestazionale ed è frequente la macrosomia fetale con conseguente aumentato rischio materno dovuto ad un peso alla nascita superiore a 4.500 g.
Inoltre le gravide obese possono anche presentare difficoltà a completare il secondo stadio del travaglio per distocia dei tessuti molli con aumentato rischio di arresto del travaglio e taglio cesareo.
 
Per quanto riguarda il taglio cesareo, le complicanze perioperatorie sono due volte più frequenti nell’obesa patologica con un tasso di mortalità anch’esso doppio, con prevalenza delle complicanze di tipo respiratorio.
 
Il neonato della paziente obesa ha un rischio maggiore per trauma cranico, distocia di spalla, lesioni del plesso brachiale e frattura della clavicola.

Anche l’esecuzione dell’esame ecografico nelle gravide obese può risultare difficoltosa, a causa dello strato di tessuto adiposo sottocutaneo che influenza negativamente la visualizzazione ecografica delle strutture fetali, riducendo l’accuratezza dell’esame.
È importante considerare, infatti, che l’obesità materna si associa ad un aumentato rischio di anomalie congenite, rispetto alle gravide normopeso, e che tali anomalie possono riguardare principalmente difetti del tubo neurale, anomalie cardiovascolari, labiopalatoschisi, atresia anorettale, idrocefalia e anomalie degli arti.

Per quanto riguarda l’ecografia del primo trimestre, lo strato di adipe sottocutaneo può rendere ardua la corretta misurazione della translucenza nucale per lo screening delle aneuploidie.
Nel secondo trimestre, a causa dell’obesità, potrebbero non essere rilevate le principali anomalie congenite descritte.
Infine, nel terzo trimestre, l’obesità può rendere difficoltosa la valutazione della crescita fetale e la stima del peso, aspetto fondamentale se si considera che l’obesità stessa, anche in assenza di diabete gestazionale, può essere causa di macrosomia fetale.

In alcuni studi è stato evidenziato che un aumento di peso compreso tra 2.2 kg e 5 kg in donne con obesità severa, è associato in meno del 10% dei casi ad alterazione della crescita fetale, quindi a feti large for gestational age (LGA) e small for gestational age (SGA).
Nelle donne obese di classe II e III la perdita di peso tollerabile in corso di gravidanza è di non più di 4.9 kg, un calo ponderale superiore ai 5 kg è associato significativamente a feti SGA.
Questi risultati suggeriscono che la variazione ponderale accettabile nelle classi di obesità II e III è compresa tra -4.9 kg e + 4.9 kg.
Emerge, inoltre, che le donne con obesità severa che perdono peso in gravidanza hanno una diminuzione del rischio di taglio cesareo e di macrosomia fetale.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 21, Numero 2, anno 2021
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