Le Emozioni del Feto
Introduzione
Lo studio della psicologia fetale è una scienza relativamente recente.
Per quanto il feto venisse considerato a tutti gli effetti un essere vivente fin dall'antichità, gli studi sulla sua psicologia sono sempre stati condizionati da pregiudizi e preconcetti. Per molto tempo ha dominato la convinzione che l'utero della madre fosse per il feto una sorta di paradiso, l'equivalente di un Eden perduto: tutto ciò che avveniva in questo periodo era associato a esperienze gradevoli, di calore, protezione, piacere. Ai movimenti fetali percepibili venivano attribuite intenzioni particolari che, collegate a specifici sintomi materni, plasmavano le future caratteristiche comportamentali del nascituro.
La superstizione dava anche adito a convinzioni sul modo in cui l'ambiente esterno poteva influenzare lo sviluppo fetale: erano considerati pericolosi, per esempio, il malocchio, l'invidia, il rifiuto materno.
Queste convinzioni hanno resistito per secoli, influenzando diatribe di tipo morale, religioso e legale sullo status del feto, fra cui l'antica discussione sulla presenza o meno di un'«anima» prima della nascita.
Analizzando il fenomeno da un punto di vista storico, possiamo osservare che, in certi casi, la soluzione veniva presentata attraverso un approccio sincretico alla questione: gli antichi Egizi, per esempio, sapevano che il feto si muoveva prima della nascita, ma erano convinti che la magia avesse un ruolo importante nel plasmare il suo futuro comportamento.
Il medico indù Susruta (VI secolo a.C.) sosteneva che il feto di 12 settimane fosse in grado di percepire l'ambiente in cui si trovava, e che a sei mesi fosse già dotato di «intelletto».
Nell'antichità classica, invece, l'interesse era focalizzato soprattutto sull'embriologia e la gestazione: Empedocle si domandava se la vita dell'embrione potesse essere simile a quella di un individuo indipendente; Ippocrate sosteneva che i movimenti fetali avessero inizio tra i 70 e i 90 giorni successivi al concepimento e faceva riferimento alla possibilità di influenze prenatali sul bambino; Platone riconosceva il feto come un essere vivente che si muoveva e si alimentava nel corpo della madre, e Aristotele scrisse un trattato di embriologia che ebbe una forte influenza sulle prime leggi riguardanti l'aborto. Successivamente, Leonardo Da Vinci ebbe modo di studiare le influenze materne sul feto, arrivando ad affermare che «la stessa anima governa i due corpi»: era convinto, dunque, che le emozioni della madre fossero condivise dal nascituro.
Le conoscenze attuali
La madre, oltre ad avere un legame speciale con il suo bambino fin dalla vita uterina, rappresenta il “medium” attraverso cui il piccolo riceve gli stimoli dall'ambiente circostante, sia a livello fisico che emotivo.
Infatti, il nutrimento che la madre passa al figlio non è costituito solo dagli alimenti di natura organica, ma anche dai suoi comportamenti, abitudini di vita, emozioni, sentimenti, pensieri, idee, immagini, ideali e valori che vive.
Il feto assorbe quanto gli viene messo a disposizione ed utilizza ciò di cui ha bisogno con abilità e competenza per iniziare a costruire il suo Sè.
Egli seleziona, cancella, elabora, assimila, ciò che gli serve compatibilmente
alla sua essenza ed alle sue predisposizioni.
Rivista Italiana
on line "LA CARE" Volume 21, Numero 2, anno 2021
5