Rivista Italiana online la "Care"
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LA NASCITA DEL PADRE
A. Giustardi, A. Semjonova
Se prendiamo in considerazione il mondo animale possiamo identificare un comportamento tipico del maschio di fronte alla prole ma tale comportamento non è uguale per tutti: esso varia da specie a specie.
Se pensiamo al lungo periodo di gestazione che è presente nei mammiferi in genere, a differenza di altre specie di animali dove la gestazione è molto più breve, è facile ipotizzare come il maschio subisca una sorta di separazione dalla prole favorita proprio da questi lunghi mesi di gravidanza.
Inoltre, immediatamente dopo la nascita dei piccoli si mantiene e consolida il legame madre bambino grazie all’allattamento. Il maschio può quindi entrare in relazione con la coppia solo se la femmina glielo permette.
Secondo Greenberg e Morris (1974) le ricerche dimostrano che, nell’uomo, l’engrossment (occuparsi interamente di, essere totalmente assorbiti, preoccupati, interessati) va considerato un potenziale innato che si attiva con l’esperienza di diventare genitori ma che ha inevitabilmente un’interazione con gli aspetti culturali dell’ambiente.
Secondo Forleo e Zanetti (1987) sarebbe presente, sia nel maschio che nella femmina, una predisposizione ad assumere comportamenti di cura nei confronti dei figli ma il condizionamento sociale e culturale devia, nell'uomo, tale atteggiamento verso altre modalità di interazione più desiderabili ed accettabili dall’ambiente.
Diversamente invece la pensava Erich Fromm (1956) secondo il quale nella paternità non vi sarebbe nulla di istintivo: si tratterebbe di un “rapporto spirituale”. Secondo l’autore l’amore paterno, a differenza di quello materno, sarebbe condizionato all’appagamento delle proprie aspirazioni.
Margaret Mead (1949) parla della paternità come pura “invenzione sociale” la identifica quindi con un comportamento appreso a differenza invece della maternità. Per le donne si realizzerebbe il meccanismo opposto: esse“ … sono madri a meno che non si insegni loro a negare l’istinto materno”.
Occorre a questo punto offrire un chiarimento rispetto al concetto di “ruolo” e differenziarlo da quello di “funzione” genitoriale e, nello specifico, paterna.
“Mentre il ruolo è definito da un contesto sociale e culturale determinante, la funzione, pur influenzata da fattori sociali nel suo espletarsi, è ciò che il padre sente di dover fare, è la sua risposta emotiva ai bisogni del figlio, è la disposizione interiore precedente all’esperienza, che tuttavia si attiva nell’esperienza.
La funzione paterna è precedente all’esperienza e al ruolo, anche se normalmente si attiva in ambedue” (Brustia Rutto P., 1996). L'uomo può invece riappropriarsi di una ricchezza emotiva importante incarnatasi nella funzione paterna riscoprendo il processo di sentirsi padre gia’ dal concepimento di figlio. Se dobbiamo pensare al padre, soprattutto durante la gravidanza e parto, scopriamo che egli riveste effettivamente un’importantissima funzione: egli sostiene e in parte determina la relazione madre-bambino proprio grazie al suo modo di essere presente, con questa funzione egli regola la distanza nel rapporto madre-figlio: potremmo definirlo il regolatore della relazione empatica. Ancora una volta abbiamo però un tentativo teorico di triangolazione ma l'ottica rimane fortemente diadica: la funzione paterna ha il ruolo di sostegno alla maternità.
Lo stesso Freud (1924) teorizza l'ingresso del padre nella relazione con il figlio solo attorno ai tre o quattro anni di vita: egli entra veramente nel triangolo relazionale solo in epoca edipica.
Anche Bowlby (1988), autore di una teoria innovativa sotto molti punti di vista, rimase comunque fedele al modello diadico dell'attaccamento tra madre e bambino.

La relazione di attaccamento:

Il bambino costruisce relazioni di attaccamento con chi si prende cura di lui. La mamma, il neonato in una sana relazione madre-bambino, si lega a lei costituendo una diade quasi simbolica. Se il padre non compare nella scena, egli in nessun modo diverrà figura di attaccamento. La relazione di attaccamento ha una funzione biologica ben precisa. Nel momento in cui scatta l’attaccamento, il cucciolo interagisce con chi si occupa di lui generando emozioni intense e grande gioia. Generando un ciclo gratificante che rimbalza continuamente tra chi accudisce e chi è accudito, garantendo soddisfazione ad entrambi.
A. Giustardi, A. Semjonova
Rivista Italiana online "La Care" Vol 5 No 2 anno 2016- pagina 26 - Avanti »