Rivista Italiana online la "Care"

Imprinting di coscienza del neonato e prospettive sulla sua crescita personale:
ipotesi per un precoce ‘Child Keeping’.
Chiara Sozzi
Pedagogista clinica

ABSTRACT

‘Quando i genitori avranno una nuova visione dei bambini, il loro sguardo incomincerà a trasformarli. Alla fine saranno adulti diversi.’ [Daniel Stern]

Gli approcci iniziali tra la madre ed il bambino nel corso della gravidanza, e la rete di interazioni sociali che tessono prima e dopo la nascita l’immagine del figlio agli occhi dei genitori, determinano la percezione dello spessore che loro hanno della sua coscienza. La proiezione che i genitori fanno su di lui del suo grado di consapevolezza, origina l’identità di sé che il bambino potrà sviluppare: l’imprinting di coscienza. Finora il consenso condiviso ha ammesso un modello univoco di coscienza, fondato sul parametro “presenza al mondo esterno”. Strutturare una teoria, che sappia cogliere l’intera portata della consapevolezza del feto e del neonato, è il compito forse più rivoluzionario che l’Infant Research ha davanti a sé. In un gruppo di ricerca con alcune madri - che ho seguito per anni a partire dalla gravidanza - mi si è evidenziato come un tale modello di coscienza delegittimi le interazioni psichiche profonde della madre, che – attraverso la comunicazione con il figlio già da quando è feto e neonato - portano il bambino a sentirsi sempre “visto” nella propria esperienza interiore. La visione completa della sua realtà di coscienza imposterebbe invece un legame di intesa ed empowerment del figlio, in quanto gli permetterebbe di integrare la sua esperienza esterna del mondo, con quella interna – emozionale e spirituale – ad ogni età ed in ogni contesto, al di là dei suoi limiti di performance cognitiva. Il Metodo di Child keeping ipotizza che uno sguardo di integrazione - agito precocemente sul figlio - porterebbe a superare la nostra attuale spaccatura interna, causata dalla separazione - fin qui erroneamente indotta dall’imprinting iniziale - tra due dimensioni della nostra coscienza : la Coscienza performativa esterna (esperienza del mondo), e la Coscienza interna (contatto con il sé profondo). Questo diverso approccio genitoriale - sperimentato nel gruppo di ricerca che conduco - sembra portare i bambini ad una consapevolezza di sé maggiore, insieme ad una minore conflittualità nella relazione con i genitori. Con questo articolo intendo tracciare le prime coordinate per una teoria della coscienza in grado di supportare un tale imprinting di coscienza integrata.

LEGITTIMARE I VISSUTI DELLA COSCIENZA INTERNA

Perché alcune esperienze emozionali di contatto profondo con la coscienza del figlio - vissute dalla madre in gravidanza - vengono relegate in una dimensione subliminale di consapevolezza? Che percezioni inconsce hanno molte madri rispetto alla consapevolezza del neonato? Perché quando emergono questi vissuti a posteriori, dichiarano di non averne mai parlato con nessuno? Qual’é la conseguenza di questi aspetti sulla formazione dell’identità di noi stessi a partire dall’imprinting di coscienza del periodo neonatale?
Nonostante sia aumentata – tra gli operatori professionali della nascita - la convinzione di quanto sia prezioso che la madre “parli” con il figlio che porta in grembo, le esperienze di scambio madre – figlio nel corso della gravidanza restano un’esperienza sommersa, che ha ancora troppo poca continuità con le fasi successive della relazione materna.
Il dialogo interno della madre col figlio aiuta a creare quella che in ambito psicologico viene definita come la “percezione mentale della vita che si sta formando, ancor prima che se ne crei la percezione biologica” (Righetti, 2003, p.84). Purtroppo, il senso di legame profondo generato da quello scambio intimo in gravidanza si perde, anziché fondare un rapporto interiorizzato duraturo: quando il bambino nasce, quella esperienza interna rimane legata ad una realtà, che si dissolve insieme all’espulsione della placenta. Era parte di “altro”: un altro mondo, un’altra dimensione, che non arrivano nel qui e ora della relazione materna esterna.
I feedback più sentiti trasmessi da lettori del libro che ho recentemente pubblicato (Sozzi, 2013) sono stati di donne che – legittimate dalla lettura - hanno trovato il coraggio di comunicare per la prima volta percezioni inconfessate, avute in gravidanza e nei primi anni di vita dei figli. La possibilità di condividere la propria esperienza sembrava ora restituire loro qualcosa che era stato indebitamente sottratto, sia a loro stesse che al figlio. Una di loro ha raccontato come fosse stata la percezione di un “richiamo” rivoltole dalla figlia al sesto mese di vita fetale – che “decidesse se voleva che lei continuasse a vivere, o no” - a riportare la sua gravidanza alla ripresa. Era infatti entrata in uno stato di depressione e deperimento - con perdita di peso del feto – in seguito alla morte della madre, avvenuta al suo terzo mese di gravidanza.
Rivista Italiana online "La Care" Vol 2 No 1 anno 2014
Chiara Sozzi - pagina 4 >>
biblio
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