Rivista Italiana online la "Care"

Imprinting di coscienza del neonato e prospettive sulla sua crescita personale:
ipotesi per un precoce ‘Child Keeping’.
Chiara Sozzi
Pedagogista clinica

La ricerca di Neuroscienze si è posta il problema di distinguere la presenza di una coscienza vigile dalle risposte neurologiche che la segnalano all’osservatore. Come rilevare uno stato cosciente di ciò che avviene nell’ambiente, quando il paziente non è in grado di emettere nessun segnale all’esterno ? La sperimentazione (Gabaglio, 2013) del dispositivo “Brain Control-Basic Comunication” a cui è pervenuta la ricerca di “brain computer interface” per casi di persone “locked in” - impossibilitate a comunicare con l’esterno per patologie neurodegenerative - ha permesso di riattivare la comunicazione di questi pazienti attraverso la pura emissione di segnali elettrici del loro cervello, che esprimono l’intenzione di emettere un segnale fisico esterno. L’assenza di risposte motorie, non annulla pertanto la percezione e l’intenzionalità della coscienza: la capacità di interazione non è più il fattore discriminante. Alva Noe (Noe, 2010) ha spostato il concetto di coscienza ad una funzione interna di presenza che è contemporaneamente a se stessi ed all’ambiente.

La coscienza dell’Io è frutto di scambi intersoggettivi con l’esterno (persone e mondo). Senza percezione del mondo e dei suoi segnali non c’è contenuto di coscienza, sostiene.
Siamo le nostre interrelazioni. Siamo ‘[…] esseri che pensano, sentono e di fronte ai quali si manifesta un mondo. La coscienza si spiega in un più ampio sistema rispetto al quale il cervello rappresenta solo un elemento.’ (Noe, p. 10). Sviluppando la componente “presenza a se stessi”, Giulio Tononi, Neuropsichiatra, - con la Teoria dell’Informazione Integrata (Tononi, 2012) - enfatizza un ulteriore aspetto nella valenza di coscienza: non sono cosciente in quanto dico, osservo, penso, quanto nella misura in cui “so” cosa sto osservando, cosa sto dicendo, cosa sto pensando. Percepire, osservare, pensare, non è veramente essere coscienti di sé, se lo si fa senza “sapere che lo si sta facendo”, attivando quello che G. Tononi chiama “l’occhio interiore”.



Andrew Owen, nell’ambito delle Neuroscienze, ha sviluppato - attraverso la tecnica della neuroimmagine – l’osservazione delle aree cerebrali attive in concomitanza della presenza a se stessi cosciente. Ha così elaborato un Paradigma della Connettività. Cercando gli indicatori di coscienza nei comportamenti delle aree cerebrali, insiste sulla valenza della coscienza come consapevolezza ed ha osservato che gli indicatori non sono aree specifiche che si attivano in presenza di consapevolezza, quanto l’attivazione di specifiche interconnessioni.
Rivista Italiana online "La Care" Vol 2 No 1 anno 2014
Chiara Sozzi - pagina 8 >>
biblio
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