Responsabile scientifico: Dr. A. Giustardi
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Prof. C. V. Bellieni
Carlo Valerio Bellieni (Siena, 22 luglio 1962) è un pediatra e saggista italiano, esperto di neonatologia. Insegna Terapia Neonatale alla Scuola di Specializzazione in pediatria dell'Università degli Studi di Siena. È membro della European Society of Pediatric Research, del Direttivo Nazionale del gruppo di Studio sul Dolore della Società Italiana di Neonatologia, della Pontificia Accademia Pro Vita ed è stato membro del Comitè Scientifique des Journèes Francophones de Rècherche en Nèonatologie.
È membro del direttivo nazionale dell'associazione Scienza e Vita ed è stato Segretario del Comitato di Bioetica della Società Italiana di Pediatria.
È editorialista de L'Osservatore Romano e scrive sul quotidiano Avvenire. Da anni è impegnato nella ricerca nel campo della neurofisiologia e della sensorialità feto-neonatale.
È autore della tecnica di saturazione sensoriale, una tecnica non farmacologica di analgesia neonatale. Ha brevettato apparecchi elettromedicali per la valutazione del dolore del neonato e per l'insonorizzazione delle termoculle neonatali.
È autore di studi sulla presenza di campi elettromagnetici in ospedale e collabora con delle ONG internazionali in campo di prevenzione dall'inquinamento da campi elettromagnetici. Dirige la collana di bioetica dell'editore Cantagalli.
Guida per i genitori, utile anche per il personale curante
Questa breve guida è rivolta ai genitori, perché sono i primi protagonisti della cura del loro bambino.
Non sembrerebbe, ma è così: i medici e gli infermieri si prendono cura del neonato solo come supporto dei genitori, su loro incarico e dopo aver ricevuto il loro consenso alle cure proposte. Sembra talvolta che i genitori siano in seconda linea, mentre in realtà i medici sono solo degli abili e istruiti esecutori delle decisioni dei genitori che esercitano la patria potestà in nome del neonato.
La Saturazione Sensoriale è un sistema di analgesia riconosciuto internazionalmente ma ancora poco utilizzato in Italia.
Si basa sul concetto della competizione tra gli stimoli, in cui lo stimolo tattile e acustico vanno ad inibire lo stimolo doloroso impedendogli di arrivare alla coscienza.
Su chi si esegue? Funziona nei neonati a termine e prematuri per evitare il dolore da puntura (suture, iniezioni, prelievi), ma anche è stato verificata la sua utilità nel caso di visita oculistica, e è consigliato come coadiuvante dei farmaci in caso di rachicentesi. Può essere usato anche in caso di iniezione da vaccinazione nel lattante.
Come si esegue? Si deve iniziare a dare goccia a goccia della soluzione dolce (glucosio, saccarosio, latte), a fare piccoli massaggi sulla guancia e a parlare al bambino, finché il bambino non inizia a succhiare ritmicamente e si nota il suo sguardo fisso sull’operatore. A quel punto si può iniziare l’evento potenzialmente doloroso, senza però sospendere le manovre suddette.
Ma non basta il solo saccarosio orale? Il saccarosio orale ha un effetto positivo sul dolore, ma non lo annulla.
Vari studi mostrano che la Saturazione Sensoriale è più efficace.
Parlare di dolore dei bambini ci spaventa come cosa orrenda e ingiusta; il bambino piccolo non parla, non può reclamare e i suoi genitori possono non accorgersene. Possiamo enumerare tanti progressi nella terapia del dolore infantile sia con interventi farmacologici che non farmacologici, basti pensare all’uso della clownterapia negli ospedali o di nuovi farmaci analgesici. Purtroppo, non basta. La medicina moderna chiede una rivoluzione di come concepiamo il dolore infantile.
Già: contro il dolore occorre lottare per la salute, non solo l’esercizio di tecniche. È una rivoluzione copernicana: dal curare il dolore come parte del curare la salute, al curare la salute per curare il dolore. Perché per curare la sofferenza del bambino occorre curare anche quella della famiglia e intervenire sull’ambiente. L’assenza di questa cura totale – che si chiama diritto alla salute - provoca sofferenza, che i bambini pagano tanto più quanto più piccoli sono. Infatti oggi sappiamo che il dolore fisico provoca a distanza di tempo delle alterazioni dell’espressione di certi geni, o nello sviluppo cerebrale, come ad esempio ha mostrato di recente uno studio sul neurosviluppo eseguito nella neonatologia del Gaslini di Genova. Ma lo stesso fa la carenza di affetto, come mostrano i lavori di Nuria Makes sui bambini abbandonati alla nascita, perché il bambino nei primi mesi di vita sviluppa il suo essere secondo dei percorsi inevitabili, che se si saltano o se subiscono interferenze difficilmente si recuperano.
Per Donald Winnicott, uno dei padri della psicologia pediatrica, il bambino vive nei primissimi mesi di vita in completa simbiosi con la madre, non potendo distinguere il suo io dalla realtà circostante; è immedesimato con il tutto, e se improvvisamente qualcosa del suo ambito sparisce, per esempio la madre - costretta a tornare al lavoro - o la sua stanza, che non vede più perché sballottato da un luogo all’altro, è come se sentisse togliersi un pezzo di sé. Questo, se ripetuto, può destrutturarlo. Gli stimoli esterni, se non sono addolciti e contenuti diventano per lui delle aggressioni che si trascinerà dentro per anni. Per questo occorre un serio lavoro in ospedale e in famiglia per non ostacolare i processi mentali di attaccamento, ben descritti da un altro pilastro della psicopedagogia, John Bowlby.
Occorre prevenire questi traumi con un ambiente adatto e con la presenza genitoriale, che gradualmente si farà indietro per permettere le esperienze e la formazione del Sé. E anche questo passo indietro non dovrà trovare momenti di trauma o intrusioni indebite. La presenza affettiva è ancora più importante della presenza di cibo, come mostravano gli studi di Henri Harlow sui piccoli di babbuino, che dovendo scegliere tra una bambola di metallo da cui potevano prendere latte e una bambola con le sembianze della mamma ma senza latte, sceglievano la seconda. Carenze ambientali devono essere evitate nei luoghi di cura ma anche nelle case, dove ancora vige il mantra sbagliato che non conta il tempo ma la qualità del tempo che si dedica ai piccoli.
Come abbiamo riportato con colleghi di diversi Paesi in un numero speciale della rivista Frontiers in Pediatrics che ho curato su questo tema, la lotta al dolore non è più solo la scelta di farmaci giusti o delle manovre giuste o dell’evitare certi interventi stressanti. È un impegno quotidiano negli ospedali e nelle case, per contenere affettivamente i bisogni del bambino, come riporta ad esempio nel suddetto numero di Frontiers Rebecca Pillai-Riddell: “È fondamentale tenere conto dello sviluppo neurobiologico e psicosociale di un bambino pretermine quando si considerano opzioni per la gestione del dolore”.
La prima lotta al dolore inizia in casa e sulla soglia dell’ospedale. È lì che si afferma il diritto alla salute: in come la casa è concepita e in come l’ospedale è stato pensato; senza un progetto pedagogico l’una e l’altra diventano possibili fonti di sofferenza. Allora va detto ben chiaro: il diritto alla salute a casa (le coccole fatte al bambino, il suo gioco, il tempo di compagnia che lui pretende) e nel sistema sanitario (la scelta preferenziale per curarlo a casa sua quando possibile, la mamma in corsia, il rispetto dei suoi ritmi) hanno per la salute la stessa validità delle medicine e sono la base della lotta al dolore. Il diritto a non sentire il dolore inizia dal diritto dei genitori di essere consapevoli di essere loro stessi una medicina, e quindi di avere facilitazioni sociali per non soggiacere alla fretta dettata dal bisogno di correre o ritornare al lavoro, lasciando il bambino per ore davanti alla TV o nella sua cameretta da solo. Perché ne pagherà il prezzo.
Carlo Bellieni
Il primo paradosso è che il dolore dei genitori per un neonato avviene in una fase particolare dello sviluppo emotivo e dell'attaccamento dei genitori: l'attaccamento che i genitori hanno per il loro bambino di 10 anni è diverso da quello per un bambino di 10 giorni . È naturale: la famiglia si struttura poco a poco, man mano che crescono l'affetto e l'attaccamento. Ma questo non significa che il dolore per la perdita o il dolore di una futura disabilità sarà minore; sono solo diversi, o anche maggiori [1]. Perché un sentimento (dolore) viene elaborato dai genitori contemporaneamente ad un altro (attaccamento), che normalmente funge da substrato e supporto per il primo.
Di solito, il dolore e l'attaccamento accadono in due distinti periodi della vita; nel caso dei neonati malati sono sovrapposti e confusi, e questo porta a una grande confusione esistenziale. Infatti, ogni sentimento che si ha per una persona o per un oggetto dipende da quanto si è investito su di loro; ma qui i genitori non hanno avuto tempo per questo investimento, ed è ancora in corso.
Pertanto, una leggenda dovrebbe essere demistificata. Può sembrare che il livello dei sentimenti vissuti dai genitori riguardo alla malattia o alla morte del neonato debba essere basso perché il loro investimento affettivo non è ancora del tutto sviluppato. Invece accade il contrario: nei primi istanti dopo la nascita c'è una fortissima carica affettivo-ormonale [2] che non è ancora un attaccamento sereno e quotidiano, ma che sta dando l'energia per ottenerlo. È come quando si accende un'auto per ottenere un'elevata velocità di crociera: i primi chilometri che si fanno per metterla in gara sono più costosi per il motore rispetto a quando si è raggiunta la velocità desiderata, perché i primi chilometri sono stati percorsi ovviamente ad una velocità più bassa ma più intensa. Questo fenomeno è stato recentemente studiato da De Marchi et al., che hanno mostrato come la presenza di alti livelli di ossitocina nel sangue della donna, che ha partorito da poco, contrasti con un lutto, portando ad un alto rischio di sequele mentali [3]. Quindi, ciò che accade - buono o cattivo - durante il periodo di attaccamento in corso, accade in un periodo di intensi sentimenti, problemi ed emozioni e le sue conseguenze sono estreme. Infatti, in caso di esito sfortunato, si verificano drammi psicologici, i dilemmi mentali non vengono risolti e le coppie genitoriali spesso si separano [4].
tratto da: “A new Holistic-Evolutive approach to pediatric Palliative Care” di C Bellieni (Springer 2002) capitolo “Neonatal and Perinatal Care”